Dimensione e significato psicologico del territorio

DIMENSIONE E SIGNIFICATO PSICOLOGICO DEL TERRITORIO 

di Giancarlo Santoni



“E cosi` la cittadina della ragazzina divenne,cio`che suppongo altri chiamerebbero il suo ambiente di trattamento” (R. Speck)

Il rapporto tra la persona e il territorio e` complesso. Il singolo fa parte dell’ambiente che lo circonda, ma e` una parte distinta e relativamente isolata. Egli e` “emerso dall’ambiente”, partecipa a molte delle sue caratteristiche, e` costantemente dipendente da esso: eppure ha delle peculiarita` sue proprie e si puo` trovare in antitesi e in opposizione con l’ambiente.
L’etologia si e` interessata in vari modi al rapporto tra individuo e ambiente formulando studi che hanno dimostrato una predisposizione genetica dei piccoli di diverse specie a mantenersi in relazione ad un individuo e all’interno di un ambiente, cioe` di un territorio.
Lo psicoanalista inglese J. Bowlby strutturera` nel 1961, una revisione delle teorie freudiane alla luce degli studi di K. Lorenz (1949-51).
Anche D.W. Winnicott, lavorando in una prospettiva eziologica, ha studiato le influenze dell’ambiente sui bambini, nelle diverse eta`, appurando delle vere e proprie categorie di disturbo del bambino a seconda delle interazioni con questo.

Questo breve richiamo storico sollecita la nostra riflessione. L’etologia ci invita a considerare che i disturbi del comportamento negli animali possono essere in gran parte prevenuti se il piccolo privato della madre resta a contatto con altri simili: il gruppo dei compagni e` un sostituto della madre. La ricerca etnologica sulle civilta` negro africane era gia` arrivata allo stesso risultato: la classe di eta` rimpiazza e da` il cambio alla madre.
All’eta` giusta i piccoli di animale lasciano la figura materna ed esplorano il mondo circostante. Al minimo pericolo ritornano da lei. L’aggrapparsi alla madre e` alla base sia dell’attaccamento che della separazione da essa.

Nei piccoli gruppi umani, ad esempio si osserva la tendenza dei partecipanti a riempire il vuoto e a tappare i buchi, ad utilizzare tutti gli spazi disponibili senza disperdersi; nel gruppo grande in cui l’anonimato viene accentuato e in cui si ravviva l’angoscia di frammentazione, in cui e` forte la minaccia della perdita dell’identita` egoica, l’individuo si sente perduto e tende a preservarsi ripiegandosi su se stesso e nel silenzio.

 










Il gruppo grande solleva numerosi interrogativi: dove, chi, di che specie, sono i miei vicini? Una caratteristica del gruppo grande e` la mancanza della stabilita`, per il singolo e` come portare addosso una pelle dilatata, collegata all’ultima persona che ha parlato, che e` “lontana”. Una tale estensione della pelle puo` toccare la soglia dell’esplosione, percio`, spesso,... il singolo desolidarizza e abbandona.

Proviamo ora a riflettere e ad utilizzare questi spunti in quella che e` poi la prassi sociale, la maniera di operare nei servizi e nelle istituzioni sul territorio.

D’ora in poi useremo la parola: rete, o rete sociale, per indicare il territorio, l’ambiente. Un primo ambito, spesso poco teorizzato ma di fatto ampiamente utilizzato da operatori sociali, insegnanti etc, consiste nel tentativo di inserire una persona, spesso un adolescente, in un territorio sociale “piu` affidabile e controllabile”, essendo egli in presenza di una rete sociale ritenuta povera, inadeguata, patologica. Un secondo utilizzo della rete e` legato al filone della psicologia di comunita` ed al concetto di “comunita` competente”. Secondo tale indirizzo, il centro dell’interesse non e` piu` la mancanza, il deficit, il problema, il bisogno di soddisfare, bensi` l’identificazione di risorse inaspettate ed inutilizzate che possono essere attivate per potenziare, sviluppare e migliorare la qualita` della vita. Compito del professonista e` quello di conoscere e promuovere forme di aggregazione quali ad esempio possono essere le reti auto-aiuto. Il terzo approccio e` rappresentato dal lavoro di intervento sociale nell’ambiente stesso della persona che presenta una situazione di disagio psicologico. Secondo le parole di R.Speck, pionere di tale intervento: “scopo dell’ intervento della rete, e` di utilizzare la forza di quest’ultima, riunita, per scuotere un sistema irrigidito, di consentire con la crescita dell’insight e della conoscenza, che si producano quei cambiamenti che i membri del sistema desiderano, di cui sono i soli responsabili”.

L’importanza del supporto sociale

Esistono molte ricerche che indicano come il sostegno sociale assicurato dall’ambiente amicale o parentale possa fornire un aiuto utile e talvolta insostituibile per una persona. Molti autori sottolineano come, la nostra capacita` ad affrontare lo stress, sia in relazione alla validita` delle nostre strutture sociali di supporto.
A seguito di studi compiuti con immigrati portoricani sono state riscontrate delle relazioni tra la psicopatologia individuale di una persona e la struttura del suo ambiente. Molti autori considerano come le famiglie che richiedono aiuto, riferiscono la presenza di reti sociali giudicate inefficaci. Una importante ricerca evidenzia che un campione di soggetti nevrotici presenta una rete sociale di 10-12 persone non in grado di fornire un valido supporto psicosociale, mentre un campione di psicotici presenta solo 4-5 persone nella rete, la quale si rivela incapace di fornire un supporto.
Tuttavia la maggior parte delle ricerche in questo settore presentano grossi limiti, legati alla non condivisa precisione e delimitazione su cosa si intenda per “sostegno sociale”, ed alla non individuazione di quali siano i fattori che poi contribuiscano efficacemente a questo sostegno. Se dalle ricerche sembrano emergere delle differenze di struttura e di composizione tra gli ambienti di persone con problemi psicologici e quelli di persone con problemi “normali”, non altrettanto evidente appare il ruolo diretto della struttura e della dimensione della rete.
Non si conosce, cioe`, se sia il fatto di possedere una rete di riferimento piu` limitata e strutturalmente differente da quelle “normali” a produrre problemi psicologici, oppure se al contrario sia proprio la presenza di questi a rendere impossibile la composizione di una rete adeguata.

Rispetto invece a quale possa essere l’effetto del supporto sociale sull’individuo, viene evidenziato il concetto di “effetto cuscinetto”. Secondo questa ipotesi il supporto sociale funzionerebbe come alleviatore degli effetti dello stress e come diaframma degli effetti stressanti e della conseguente sintomatologia. Alcuni studiosi sostengono che esiste un bisogno universale di reti di relazioni mutuamente supportive e immediatamente disponibili, il bisogno di identificazione con un insieme di valori che rappresentano un potere che unisce vari individui viene definito come “senso di comunita`”.



Secondo altri autori gli elementi che compongono la definizione del “senso di comunita`” sono:

  1. senso di appartenenza e senso della connessione personale;
  2. influenza e potere: cioe` la percezione che la propria presenza o assenza nella comunita` crea una “differenza”;
  3. integrazione dei bisogni o “rinforzo”: i bisogni saranno soddisfatti attraverso l’accesso a risorse rese disponibili dall’appartenenza al gruppo;
  4. il senso di una “connessione emotiva condivisa”.
  1. la possibilita` di continuare a mantenere la propria identita` sociale;
  2. il sostegno emotivo;
  3. la soddisfazione di esigenze materiali o la facilitazione ad accedere a determinati servizi;
  4. informazione e possibilita` di “incrociare” modi di vedere ed informazioni diversi tra loro;
  5. favorire nuovi contatti sociali.

Aggiungeremo che a questi elementi, in particolare in relazione ad episodi di devianza, la forza del controllo sociale esercitata dall’ambiente attraverso il meccanismo di “committment”, da cui si intende il complesso processo attraverso il quale una persona viene progressivamente coinvolta nelle istituzioni e nel comportamento convenzionale. Attraverso questo meccanismo la persona si rende conto di dover aderire a determinate linee di comportamento, perche` molte altre attivita` e ruoli verranno compromessi se cosi` non verra` fatto.

E` lecito quindi pensare che un ambiente forte, attento, presente e del quale valga la pena di far parte, agisca anche attraverso questo processo, soprattutto se interiorizzato dall’individuo, nel delimitare i confini di comportamento e nell’intervenire prontamente ed efficacemente, una volta questi vengano varcati.

Perche` pensare al territorio?

Ogni persona non e` semplicemente un oggetto del mondo degli altri, bensi` una posizione nel tempo e nello spazio, dalla quale vive il suo mondo, lo rappresenta e vi agisce. Ed e` precisamente la prospettiva che essa condivide con gli altri cio` che vogliamo scoprire. Il nostro interesse si rivolgera` sempre verso persone che stanno in rapporto con noi o tra loro, e sempre nel contesto del loro gruppo. Tale contesto puo` anche includere l’insieme dei rapporti personali, extrafamiliari dei vari membri della famiglia.
Abbiamo descritto l’interazione umana come un sistema di comunicazione, caratterizzato dalle proprieta` dei sistemi generali: il tempo in quanto variabile, i rapporti sistema-sottosistema , la totalita`, la retroazione, l’equifinalita`. Abbiamo considerato i sistemi interattivi in corso come il centro naturale per studiare l’impatto pragmatico a lungo termine dei fenomeni di comunicazione.

Una conseguenza di questo modo di vedere e`, ad esempio, quella auspicata da E. Erickson: egli dirigeva i suoi sforzi a far si` che il cliente facesse quelle cose nel mondo esterno che potessero fornirgli le esperienze di cui aveva bisogno.
Ad Erickson non interessava risolvere i problemi portati dal cliente, ma aiutarlo a divenire un individuo autonomo, capace di avere a disposizione e utilizzare tutte le proprie risorse personali in modo da poter fare da solo la terapia a se stesso, quando necessario. Queste frasi ritornano alla mente ogni qual volta consideriamo chi entra in interazione con noi: quel ragazzo, quella famiglia, quell’amico, quel datore di lavoro, quel gruppo.
Ogni qual volta riteniamo di riflettere su questo legame, il riferimento a Miller, a Erickson e ai piu` recenti autori ci rimanda al concetto che prima citavamo, poiche` generalmente intorno ad una situazione di disagio si mobilita un insieme di persone che vanno ben al di la` del semplice nucleo familiare, (parenti, amici, associazioni, servizi) e poiche` queste interagiscono con essa nel tentativo (almeno se ci si ferma alla lettura delle dichiarazioni motivazionali) di risolvere detto disagio. Allora, perche` non pensare che questa risorsa del territorio possa essere il soggetto che, opportunamente orientato, agisce per il cambiamento?

Il concetto di territorio da noi pensato ed utilizzato.

Il territorio e` dunque uno strumento per leggere e far leggere; per agire e far agire una parte della realta` relazionale. Come tale non e` il solo strumento che sia possibile usare, mostra un punto di vista non “il” punto di vista.
Questo concetto ha come postulati le seguenti affermazioni:

  1. l’uomo e` nelle relazioni;
  2. le relazioni si formano e si svolgono in un contesto;
  3. il contesto significa (capacita` di dare senso) ed e` significato (viene definito) dalle relazioni umane.

Il territorio e` cio` che un individuo (quindi un punto di vista soggettivo) indica e vive (e cio` che potrebbe indicare e vivere) come significato rispetto alle persone che incontra oggi ed ha incontrato nella sua storia, rispetto al modo con cui vive se` nel tempo e nello spazio.
La rete e` il modo con cui queste persone nel tempo e nello spazio si relazionano e significano l’individuo e i singoli tra loro. Appariranno evidenti dopo questa definizione, le connessioni tra il concetto di territorio sociale e quello di sistema, cosi` come l’importanza delle espressioni “significare” e “ significato” (qui usate in senso fenomenologico) e la definizione di “relazione”.
Il territorio e` un’entita` molto variabile, poiche` il tasso di soggettivita` rischia di essere cosi` alto da rendere praticamente inutilizzabile il concetto.
Ci sono due strade per risolvere questo problema, tutte e due interessanti.
La prima ci invita a pensare la rete come un sistema in cui cercare di distinguere cio` che persiste, cio` che cambia e come cambia. Per far questo occorre utilizzare una buona teoria.
La seconda pone l’attenzione sull’osservatore, cio` che e` detto lo e` da parte di un osservatore, allora le “differenze” notate possono essere interpretate come il risultato di una trasformazione. Occorre cercare di comprendere la logica con cui quelle trasformazioni lavorano.
Il rischio di vedere cio` che vogliamo vedere e` tutt’altro che lontano. Il fatto e` che la rete non e` fotografabile, non e` statica, e` come un organismo vivente, in continuo mutamento. Perturbarla e` l’unico modo che abbiamo per conoscere come si muove. Lo scopo del nostro lavoro e`: comprendere le leggi dei percorsi e delle variazioni.
C’e` chi tenta questa operazione cercando di controllare tutto, ...e finisce per non controllare niente; chi dice che e` troppo difficile, e rinuncia; ... chi si applica costantemente.

Dott. Giancarlo Santoni
Psicologo-Psicoterapeuta
Collaboratore SFEC Universita` Roma III